venerdì 19 agosto 2011

John Archibald Wheeler, decano dei fisici teorici americani, recentemente scomparso – che ha avuto il merito di riportare la metafisica nella fisica - ha affermato che "ogni cosa, ogni particella, ogni campo di forza, perfino il continuum spazio temporale, deriva la sua funzione, il suo significato, la sua stessa esistenza, interamente da risposte indotte da un qualche apparato che formula domande del tipo sì o no, ovvero da scelte binarie: i "bit".  Con questo nuovo linguaggio cibernetico diventa possibile cominciare ad interpretare l’universo come se fosse basilarmente costituito, non di materia o energia, ma di informazioni codificate in un codice binario, una successione di bit positivi e negativi, ed a comprendere in modo unitario l’intera gamma dei fenomeni naturali, ivi comprese la mente e la coscienza. Le ricerche di Wheeler l'hanno indotto a ritenere che potremmo esistere in un universo dove la coscienza non solo ha un ruolo importante, ma è addirittura creativa.Iin altre parole, in un "universo partecipativo". Chiarendo il suo pensiero, Wheeler afferma:  Non potremmo neanche immaginare un universo che, in qualche luogo e per qualche segmento di tempo, non contenesse degli osservatori, perché i mattoni stessi dell’universo sono questi atti di osservazione partecipata. Wheeler afferma che per noi è impossibile osservare semplicemente il mondo mentre accade intorno a noi. Non possiamo mai essere degli osservatori, perché quando osserviamo, noi creiamo e modifichiamo il creato.Quando osserviamo la "vita" – la nostra abbondanza spirituale e materiale, i nostri rapporti e la nostra carriera, le nostre passioni più profonde e i nostri maggiori conseguimenti – potremmo ritrovarci a guardare dritto dentro lo specchio delle nostre credenze più vere e talvolta più inconsce. Dalle nostre incommensurabili profondità possiamo cambiare le nostre limitanti convinzioni cristallizzate creando la nuova struttura dell'Essere che vogliamo essere. Possiamo rendere flessibile la nostra nuova struttura permettendoci di interagire con la forza dell'universo che tutto permea. Non c'è alcun limite se non quello autoimposto che pone le sue radici nella torbida paura di manifestare la nostra lucente divinità.

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